IMPLOSIONE NELL'IMPERO

riporto un interessante articolo di Guillermo Sullings, economista latino-americano e portavoce del nuovo umanesimo per l’Argentina, che può dare diversi spunti di comprensione e approfondimento della situazione attuale.

IMPLOSIONE NELL’IMPERO

Il contesto nel quale si dà questa crisi

In questi giorni stiamo assistendo all’approfondimento di una enorme crisi finanziaria, con l’epicentro negli Stati Uniti ma con delle conseguenze in tutto il mondo. In realtà questa crisi è cominciata a mostrarsi da un anno, ma si stava generando già nel 2006, e le sue radici sono anteriori. Potremmo sicuramente dire che  la “terra fertile” per lo sviluppo di tali radici, sono state arate da decadi.

Nell’anno 2000, quando abbiamo pubblicato “Economia Mista”, dedicammo dei paragrafi a quello che denominammo “la trappola del credito”, come il fenomeno con il quale si stimola le persone ad anticipare il consumo mediante l’indebitamento. In un primo momento il livello di consumo si incrementa (perché le persone spendono l’equivalente di quello che guadagnano, in più l’equivalente a ciò di cui si fanno debitori), e in un secondo momento i loro consumi diminuiscono perché i debiti devono ridurre le loro spese regolari, per generare un risparmio che gli permette di pagare ciò di cui sono debitori, più gli interessi incorporati, che nel caso del credito a lungo tempo, possono arrivare a duplicare il valore di ciò che si è acquistato. Da una parte genera un trasferimento di ingressi dall’economia produttiva verso la banca, e da un’altra parte genera cicli di successiva espansione e contrazione nell’economia. 

Questo perché, mentre quando si espande il credito, il maggior consumo, genera una crescita dell’economia reale, (e quindi la gente aumenta i loro ingressi e si crea le condizioni per affrontare le sue spese e i suoi debiti), siccome il ritmo di crescita reale è sempre minore rispetto la crescita del credito, si generano le famose “bolle”, che inevitabilmente scoppiano. 

Quando parliamo di questi temi di “Economia Mista”, menzioniamo anche al livello di indebitamento che avevano già nella società Statunitense, ed abbiamo detto che in qualche momento questa situazione sarebbe scoppiata. Tutto indica che questo momento si sta avvicinando. Non è per nulla facile stimare i tempi di queste cose. Quando nel 1998 abbiamo anticipato la caduta della convertibilità Argentina, abbiamo potuto realizzare l’analisi su una economia molto più piccola, più semplice, e limitata ad un solo paese. 

L’economia degli Stati Uniti invece, oltre ad essere enormemente maggiore e più complessa, ha potuto “esportare” i suoi problemi, e si dovrebbe avere un enorme quantità di informazioni da tutto il mondo, per fare previsioni più precise. Però non vi sono dubbi che la tendenza sia verso una crisi ogni volta più profonda.

Prima di riferirci al detonante della crisi attuale, c’è da capire come funziona la società Statunitense rispetto al credito, al consumo e all’investimento speculativo. 

In questo paese esiste una cultura molto radicata rispetto l’indebitarsi per salire nella scala sociale (mediante il consumo). E  chi  ha capacità di risparmio, ha una cultura molto diffusa nell’investire in azioni, fondi di finanziamento, e tutta una serie di complessi strumenti finanziari, che qui per la gente comune non capisce neanche di che si tratta. 

Negli Stati Uniti la maggior parte  della popolazione si indebita per comprare elettrodomestici, auto e case, e quando li termina di pagare si indebita per rinnovarli. Gli studenti universitari si indebitano per pagare i loro studi e dopo pagano i loro crediti quando  li ricevono. E’ una società indebitata, al punto tale che nel momento attuale, il livello di indebitamento medio delle casalinghe è del 120% dei loro ingressi annuali; ovvero in media, se i cittadini statunitensi potessero stare un anno senza spendere un dollaro neanche per mangiare, ugualmente dovrebbero lavorare tutto questo anno e qualche mese in più per pagare quello che devono. 

Il 75% di questi debiti corrispondono a debiti ipotecari, detonanti dell’attuale crisi. Però questo livello di indebitamento dei cittadini Statunitensi, non è solamente interno (tra di loro), ma oltre a questo si sta finanziando con l’enorme deficit che ha questo paese tanto nella bilancia commerciale, come nella bilancia dei pagamenti, visto che è il governo più indebitato del pianeta.  

Tra Cina e Giappone accumulano titoli del debito Statunitense di un valore quasi di 2 bilioni di dollari, grazie al loro surplus commerciale con quel paese.

 

Gli antecedenti della crisi attuale

All’interno del contesto di una società abituata ad indebitarsi crescentemente,  da una parte, e a generare bolle di investimenti dall’altra, è lì che comincia a crescere la bolla immobiliaria tra il 2002 e il 2005. 

In quegli anni la Riserva Federale aveva abbassato i tassi per attivare l’economia, dopo l’impatto recessivo che generò i timori a partire dagli attentati dell'11 settembre. 

Le banche quindi potevano indebitarsi per il 2 % annuale, e fare prestiti per l'8% annuale a chi voleva comprare o costruire una casa. Era un grande negozio finanziario, per se stesse, però la voracità delle banche non si conformava con ciò; per attirare molti più clienti che prendessero il loro credito ipotecario, rilassarono le loro regole e i loro controlli e aggiudicarono crediti a persone con meno solvenza (ipoteca “subprime”), e fu l’auge dell’affare immobiliare, che fece salire e salire il prezzo delle proprietà. 

Però a loro volta per poter prestare a ogni volta più clienti, le banche avevano bisogno di attrarre fondi nel mercato, così fu quando cominciarono ad offrire in garanzia le stesse ipoteche che avevano nelle cartelle dei loro clienti. 

Fecero questo una e un’altra volta, e le ipoteche si trasformarono in supporti di tutta una complessa trama di strumenti finanziari dei quali arrivarono a partecipare anche le banche europee. 

Milioni di risparmiatori, attraverso delle banche, fondi di investimento, e imprese quotate in borsa, finanziarono la crescita della bolla, la maggioranza delle volte senza sapere quale era la garanzia finale dei loro investimenti. 

Tutto questo d’accordo con il prestigioso rating di rischio che tanto si sono occupati di squalificare le economie emergenti, e mai hanno avvertito i risparmiatori sul rischio di questi irrazionali strumenti di credito del primo mondo. Tutto è stato un affare prospero mentre le proprietà salivano di valore e la ruota dell’indebitamento e dei pagamenti delle quote seguiva funzionando. Però come tutte le bolle un giorno è scoppiata.

La Riserva Federale cominciò ad aumentare i tassi fino a superare il 5% per contenere l’inflazione, e così le banche aumentarono anche loro i tassi dei crediti ipotecari già aggiudicati ( quelli a tasso variabile). 

Molti proprietari che non erano molto solvibili, già iniziavano ad entrare in mora; con l’aumento dei tassi la mora si moltiplicò e già nel 2006 si ebbe 1,200,000 esecuzioni ipotecarie. Il valore delle proprietà, che era arrivato a livelli irrazionali, cominciò a sgonfiarsi, prima per la logica dei valori relativi, però questo sgonfiamento si accellerò quando molti proprietari misero in vendita le loro case perché non potevano pagare le quote della loro ipoteca. 

Questo calo della proprietà fece che molti proprietari avessero con la banca un debito maggiore al valore della loro casa, con il quale l’avevano messa in vendita, valore che a sua volta condizionato dalle vendite continuò ad abbassarsi. 

Al giorno di oggi si stima che più di 5,000,000 famiglie hanno in vendita la loro casa perché non possono pagare l’ipoteca, e ci sono 2,000,000 che stanno per perderla in una esecuzione ipotecaria.

Quando scoppiò la crisi in agosto del 2007, si stimava che avevano morosità accumulate di più di 500,000 milioni di dollari nel mercato delle ipoteche. 

Però molto maggiore era la perdita di valore dei titoli e azioni che stavano supportati dalle chiamate “ipoteche spazzatura”. In altre parole, molte delle banche vincolate in affari immobiliari non poterono affrontare i loro debiti perché evaporarono i loro attivi, supportati da ipoteche non creditizie e svalutate. 

In questa complessa trama finanziaria, l’effetto domino iniziò a portare al fallimento molte entità relazionate in qualche modo con questi strumenti finanziari appoggiati ad una fragile bolla. I casi più risonanti furono Freddie Mac, Fannie Mae, Bearns Stearns, e più recentemente Lehman Brothers e AIG, ci sono state un centinaio di entità danneggiate in USA e alcune in Europa che hanno dovuto sostenere.

Questo effetto domino ha già un anno, e ancora non è arrivato alla sua fine. Il governo degli Stati Uniti e la Riserva Federale iniettano centinaia di migliaia di milioni per moderare il terremoto, però niente è sufficiente, e la crisi delle ipoteche ha contaminato tutti i mercati finanziari e di borsa. I finanziatori tolgono il denaro dalle banche e dai fondi di investimento per panico e sfiducia, con questa azione debilitano ancora più il sistema finanziario. Gli intestatari di buoni o azioni cercano di venderli per avere contanti, o perché prevedono una maggiore svalorizzazione degli stessi, e nel farlo gli stessi perdono di valore sempre più.  Cioè, si sta passando dalla dimensione ipotecaria (di per se enorme), alla dimensione della profezia auto compiuta di una corrida bancaria e di borsa che genera fallimenti a catena.  Oggi è questo il problema che sta affrontando gli Stati Uniti.

 

Fino a dove arriverà la crisi?

È molto difficile sapere quando si toccherà il fondo. 


In primo luogo perché anche se non si sa bene dove è arrivata la contaminazione degli strumenti finanziari supportati con le “ipoteche spazzatura”, data la complessità di tali strumenti. 

In secondo luogo perché oltre al problema finanziario di origine, appare il fattore psicologico della sfiducia dei risparmiatori, molto più difficile da misurare e prevenire, che seguirà ad approfondire le sue ripercussioni nell’economia reale, fondamentalmente attraverso la restrizione del credito per gli investimenti e il consumo e attraverso la perdita di capacità di spendere della popolazione, si andrà accentuando la spirare recessiva. 

In terzo luogo, perché la interdipendenza tra l’economia del mondo con quella degli Stati Uniti, aprono una ventola di molteplici conseguenze che si andranno retro alimentando. 

L’economia degli Stati Uniti rappresenta il 25% dell’economia mondiale, ed è sommamente interdipendente con Cina, Giappone ed Europa, insieme con i quali teniamo più del 50% dell’economia mondiale danneggiati direttamente dalla crisi. Quindi praticamente nessun paese sta isolato dalle conseguenze, anche se indirettamente ed in differenti gradi. 

Una recessione negli Stati Uniti implica  una forte diminuzione del consumo del principale compratore di prodotti fabbricati in Cina e  Giappone. Un rallentamento nell’economia cinese come conseguenza della diminuzione di esportazione, implicherà meno importazione di materie prime da parte di questo paese al resto del mondo. 

A sua volta la sfiducia verso gli investimenti di rischio danneggerà il flusso degli investimenti nei denominati paesi emergenti. Però in quale profondità e per quanto tempo si darà questo, impossibile anticiparlo.

Il governo degli Stati Uniti, contraddicendo i loro propri “principi” di ortodossa liberale, di lasciare che i mercati si auto regolino e falliscano chi deve fallire, sta facendo un appello a risorse  eterodosso, iniettando centinaia di migliaia di milioni di dollari nel barile senza fondo della crisi finanziaria. Se lo continuerà a fare, forse eviterà l’Apocalisse di un nuovo crack maggiore di quello del 1929, però a costo di portare i suoi indebitamenti come nazione a dei limiti inimmaginabili. Ma più in là della poca o maggiore spettacolarità che abbia la caduta, quello che è sicuro è una recessione e un indebolimento prolungato nella maggiore economia del mondo.

 

Come danneggerà l’Argentina

In una economia globalizzata, le ripercussioni di una simile crisi arrivano da per tutto, però nella misura in cui gli effetti vengono per rimbalzo sono sempre meno prevedibili nel breve tempo, e poco misurabili nel medio tempo. 

Per esempio, lo sproporzionato aumento del prezzo internazionale del petrolio e delle materie prime che si è dato fino a pochi mesi fa, e la loro recente e bruta caduta, riguarda il fatto che molti investitori che uscirono dal mercato immobiliario, fuggirono verso le commodities e formarono una passeggera bolla in questo mercato, che ora si sta dissolvendo.  

Però fino a che questi capitali si inclinino definitivamente verso un qualche tipo di investimento di medio tempo, seguiranno provocando turbolenze difficili da prevedere.

 

Al momento molti capitali stanno andando ai buoni del tesoro degli Stati Uniti (che in oltre sta emettendo  obbligazioni a man salva che servono a detenere fondi per il salvataggio del mercato finanziario), perché li si considera sicuri, anche se non danno praticamente garanzia. 

Per ora si vendono obbligazioni del debito argentino, con i quali abbattono il prezzo ma mettono a rischio il paese, in oltre con la loro vendita salgono i tassi di interesse con i quali l’Argentina potrebbe ottenere credito.  

Al momento sono abbassati i prezzi dei prodotti agricoli che esporta Argentina, per lo sgonfiamento della bolla transitoria, ma i prezzi restano ancora redditizi per i produttori. Però tutto questo è per questo momento. 

Potrebbe succedere che quando passa il panico, qualche investitore consideri che certi prodotti in Argentina sono meno rischiosi che i mercati speculativi del primo mondo, o forse no. 

Potrebbe succedere che il calo dei prezzi delle materie prime faccia diminuire la pressione inflazionistica, e questo porti sollievo. 

Sicuramente che una recessione in USA contagerà la Cina e il Brasile, che hanno una maggiore relazione commerciale con gli Stati Uniti di quella che tiene Argentina; però siccome Argentina ha molte relazioni commerciali con il Brasile e la Cina, resta danneggiata indirettamente. 

Però come si può sapere la misura degli effetti indiretti, se neanche se si vuole si può misurare nel caso siano effetti diretti? Quello che si sappiamo è che Argentina non è nella lista di quelli che si vedranno più danneggiati. Perché anche se potrà avere problemi per ottenere crediti, li ha avuti anche in questi ultimi anni e nonostante questo è cresciuta, “vivendo con il nostro”, come dice Aldo Ferrer.  Perché sebbene alcuni paesi possono diminuire la domanda di alcuni dei prodotti che esporta Argentina, c’è da considerare che prima, in alcuni settori ha dovuto limitare le esportazioni al fine di garantire le forniture  interne e non per questo sono diminuite per questo tanto le esportazioni.

Le riserve accumulate in Argentina, il margine che ancora ha di avanzo fiscale e commerciale, le danno una copertura che le permettirà di ammortizzare fino ad un certo punto gli effetti collaterali della crisi degli Stati Uniti. 

Però ora più che niente si dovrà lavorare in un piano economico e una riforma tributaria che assicuri, oltre all’avanzo fiscale il reinvestimento produttivo dei guadagni imprenditoriali, per raggiungere uno sviluppo e redistribuzione della ricchezza, finora in grado di contrastare qualsiasi collasso di  recessione in alcuni settori più esposti alla crisi internazionale. 


Conclusioni

 

in definitiva, questa crisi del capitalismo e della globalizzazione, dimostrano una volta in più che si deve smettere con la speculazione finanziaria nel mondo, forzando il reinvestimento produttivo dei guadagni imprenditoriali. 

Il mondo non può essere governato dalla tirannia del capitale speculativo, che genera povertà e caos dovunque.

Il mondo deve avanzare verso una Nazione Umana Universale, nella quale i popoli, attraverso la democrazia diretta, trovino una soluzione al fatto che le immense risorse che oggi si destinano alla speculazione finanziaria, all’usura e agli armamenti, vadano invece a contribuire allo sviluppo che faccia terminare la povertà. 

In questo senso ci sarà da stare attenti, perché questa implosione finanziaria nell’impero lo sta debilitando, ma come una belva ferita, che al fine di riconquistare il potere, può pretendere di ricorrere alla forza bruta, più di quanto ha fatto finora. 

Guillermo Sullings

18/09/08

Stefano Cecere
Stefano Cecere
Ricercatore, Sviluppatore, Educatore, Attivista, Umanista, Papà.

Ricerco, Sviluppo e Condivido nell’intersezione tra Giochi, Educazione, Tecnologie Digitali, Creatività, Filosofia e attivismo per una Politica Progressista 2050. E papà 2x

Prossimo
Precedente

Correlato